IL TRIBUNALE

    Vista   la  richiesta  di  convalida  dell'arresto,  operato  nei
confronti  di  Endre  Peter Durgo, in atti generalizzato; considerato
che   il   difensore   ha  sollevato  la  questione  di  legittimita'
costituzionale  della norma da applicare, richiamando le ordinanze di
rimessione  gia' emesse dal giudicante e da altri giudici monocratici
di questo tribunale.

                            O s s e r v a

    In  forza  del  combinato  disposto  degli artt. 558 c.p.p. e 14,
comma  5-quinquies,  d.lgs.  25 luglio 1998 n. 286 (testo unico delle
norme  sull'immigrazione  e la condizione giuridica degli stranieri),
come   modificato  dalla  legge  30  luglio  2002  n. 189,  l'arresto
dell'imputato,  effettuato  in relazione al reato di cui all'art. 14,
comma  5-ter t.u. cit., dovrebbe essere convalidato da questo giudice
e si dovrebbe provvedere a giudizio direttissimo. Si ritiene tuttavia
che  la  novella  alle  norme del testo unico presenti dei profili di
incostituzionalita'  rilevanti  gia'  nella  fase della convalida, in
quanto  attinenti  alla  stessa  costituzionalita'  della  previsione
dell'arresto  obbligatorio per la fattispecie di cui si tratta, e che
pertanto  la questione relativa debba essere sollevata gia' in questa
sede.
    Infatti,   la   novella   prevede  l'arresto  -  in  questo  caso
obbligatorio,  in  altri  facoltativo  -  per reati contravvenzionali
puniti  nel  massimo  con un anno di arresto, dunque con pena massima
edittale  lontana  per  difetto  da  quella  generale prevista per le
contravvenzioni,  il  che  e' significativo di una valutazione di non
eccessiva  gravita'  della  condotta  da  parte  del legislatore. Nel
codice  di  procedura penale, invece, l'arresto in flagranza - misura
fortemente  restrittiva  della  liberta'  personale  - in generale, e
salvi  i casi tassativamente previsti al secondo comma dell'art. 381,
non  e'  consentito per i delitti puniti con la pena della reclusione
pari  o inferiore, nel massimo, a tre anni. Ancor piu' ristretti sono
i  casi  di arresto obbligatorio previsti dall'art. 380 c.p.p., con i
quali  occorre  istituire il raffronto in questo caso, dato che, come
s'e'  gia'  detto,  la  novella prevede tale categoria di arresto. Il
sistema  penale,  in altri termini, prescrive l'obbligatorieta' della
misura restrittiva della liberta' personale solo per reali, obiettive
situazioni di singolare gravita'
          1)   Cosi'  la Corte costituzionale nella sentenza 11 marzo
          1970 n. 39, dichiarativa dell'illegittimita' costituzionale
          dell'art. 220  del  testo  unico  delle  leggi  di pubblica
          sicurezza   nella   parte   in   cui   prevedeva  l'arresto
          obbligatorio  in  flagranza di chi contravveniva al divieto
          di comparire mascherato in luogo pubblico.
 ma  in  questo  caso,  derogando in maniera evidente alla disciplina
generale,  introduce  l'arresto  obbligatorio per una contravvenzione
neppure particolarmente grave.
    Ne'  puo'  obiettarsi  che  il principio di ragionevolezza, prima
implicitamente   richiamato,   che   trova  la  sua  fonte  normativa
costituzionale  nell'art. 3 della Carta fondamentale, non puo' venire
in rilievo in quanto si tratta di normativa dettata solo in relazione
agli stranieri, dal momento che lo stesso art. 3 limita il suo ambito
di  applicazione  ai cittadini. Infatti, e' del tutto pacifico che la
norma  richiamata  deve  coordinarsi con l'art. 2 della Costituzione,
che  garantisce  i  diritti  inviolabili  dell'uomo indipendentemente
dalla  nazionalita',  e  con  l'art. 10,  secondo  comma,  Cost., che
prevede che la condizione giuridica dello straniero e' regolata dalla
legge  in  conformita'  delle  norme  dei trattati internazionali. Ne
consegue  che, ove la disciplina giuridica applicabile allo straniero
attenga  a  diritti  inviolabili,  o  comunque  a  materie oggetto di
trattati  internazionali,  il  diverso  trattamento  deve garantire i
diritti  inviolabili  dell'uomo  ed  essere  rispettoso  dei principi
dettati  dai  trattati.  Ora,  ampie  garanzie in materia di processo
penale  e di arresto sono oggetto degli artt. 5 e 6 della convenzione
per   la   salvaguardia   dei  diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali,  ratificata dall'Italia con legge 4 agosto 1955 n. 848,
per  cui  appare  inammissibile la discriminazione dello straniero in
relazione a tale materia.
    Dubbi ancor piu' evidenti e gravi di incostituzionalita' emergono
in  relazione  al  rito direttissimo che dalla convalida dell'arresto
originerebbe.
    Infatti,   secondo   quanto   disposto  dal  legislatore,  appare
ineluttabile  una  pronuncia non di merito nei confronti dell'odierno
imputato.  Cio' emerge coordinando varie norme della novella, secondo
l'iter  logico che si passa ad illustrare. Il giudice monocratico non
puo'  applicare allo straniero arrestato in flagranza per il reato di
cui  si  giudica  la  misura della custodia cautelare in carcere, non
prevista per le contravvenzioni. Dunque, lo straniero potra' - o, per
meglio    dire,    dovra',   dati   i   ristrettissimi   margini   di
discrezionalita'  dell'autorita'  amministrativa - essere espulso, in
quanto  dall'art. 13,  terzo  comma,  del  testo  unico,  cosi'  come
novellato,  risulta  evidente  che  solo  l'applicazione della misura
cautelare  indicata  costituisce  impedimento assoluto all'espulsione
disposta  dal  questore;  in  caso  di  mancata applicazione di essa,
invece,  opera  il  regime  del  nulla  osta  del giudice. Orbene, il
giudice  ha  uno  spazio di discrezionalita' minimo nel rilasciare il
nulla  osta:  «puo' negarlo solo in presenza di inderogabili esigenze
processuali    valutate    in    relazione   all'accertamento   della
responsabilita'  di  eventuali  concorrenti  nel  reato o imputati di
procedimenti connessi, e all'interesse della persona offesa»
          1) Art.  13,  terzo  comma,  richiamato  dal comma 3-bis in
          relazione all'arresto in flagranza.
 oppure se si tratta dei reati previsti dall'art. 407, secondo comma,
lett. a) c.p.p. Nell'assoluta maggioranza dei casi, e comunque per il
reato  per  il  quale  si procede, in cui sembra difficile ipotizzare
forme  di  concorso  il  cui accertamento richieda la deposizione del
coimputato,  ne'  e'  individuabile  una persona offesa, l'attuazione
dell'espulsione  - che quale provvedimento amministrativo costituisce
lo  stesso  presupposto  del  reato  -  non  puo' essere impedita dal
giudice ed e dunque certa. In caso di espulsione, il giudice, «se non
e'  ancora  stato  emesso il provvedimento che dispone il giudizio» -
come  avviene  nel caso di giudizio direttissimo monocratico, che non
conosce  tale provvedimento, ben diversa essendo la forma e la natura
del  decreto  di  presentazione  dell'arrestato da parte del pubblico
ministero   di   cui   all'art. 558  c.p.p.  -  «acquisita  la  prova
dell'avvenuta  espulsione  (...)  pronuncia  sentenza  di non luogo a
procedere»
          1) Art. 13, comma 3-quater
 .
    Emerge  quindi l'obbligatorieta', nella maggior parte dei casi di
reati commessi da immigrati espulsi e comunque - e' bene ripeterlo ai
fini  della  rilevanza  dell'eccezione  di costituzionalita' - per il
reato   contestato  all'odierno  imputato,  della  pronuncia  di  una
sentenza   di   improcedibilita'   dell'azione   penale  nei  giudizi
direttissimi   monocratici   a  carico  di  tali  soggetti.  lnfatti,
interviene  a  rendere  obbligatoria la pronuncia la mera circostanza
estrinseca  dell'esecuzione  dell'espulsione  prima della conclusione
del giudizio, condizione che si realizza automaticamente, ad esempio,
a  seguito di richiesta di termini a difesa. Lo straniero viene cosi'
privato del diritto di accedere ad un giusto processo quanto ai fatti
contestati,  con  chiara violazione dell'art. 111 della Costituzione,
nonche'  dell'art. 24 della Costituzione quanto al diritto di difesa,
ed ancora degli artt. 5 e 6 della convenzione per la salvaguardia dei
diritti  dell'uomo  gia' citata - che pacificamente ha rango di norma
costituzionale  in  forza  di quanto s'e' poc'anzi osservato circa il
richiamo  dell'art. 10, secondo comma, della Costituzione -, articoli
che  prevedono  il  diritto  per  ogni  persona privata della propria
liberta'  con un arresto a presentare ricorso davanti ad un tribunale
affinche'  decida  sulla  legittimita'  della  propria detenzione, ed
ancora  il  diritto  a che la sua causa sia esaminata imparzialmente,
pubblicamente  ed  in  un  tempo ragionevole da parte di un tribunale
indipendente  ed imparziale costituito per legge quanto al fondamento
di  ogni  accusa penale. Nel meccanismo creato dalla novella, invece,
la  richiesta  di  un  termine  a  difesa,  che realizza un altro dei
diritti  sanciti dall'art. 6 della convenzione, quello dell'arrestato
di «disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie per preparare
la  sua difesa»; previsto dalla lett. a) del terzo comma, finisce con
l'impedire  una  decisione  di  merito, con evidente contrasto con il
diritto  a  provare  la propria innocenza: infatti, senza chiedere un
termine  a  difesa,  e'  impossibile  per  l'arrestato  in  flagranza
dimostrare  che  la  sua  permanenza  nel  territorio  dello Stato e'
legittima,   giacche'  non  ha  modo  di  recuperare  e  produrre  la
documentazione  necessaria  alla  prova o di ottenere la citazione di
testi  a  difesa.  Il  contrasto  di  tutto  cio' con l'art. 24 della
Costituzione,   norma  che  tutela  «tutti»,  non  solo  i  cittadini
italiani, appare evidente.
    Se  poi  si vuol dare dell'espressione «provvedimento che dispone
il   giudizio»   un'interpretazione   estensiva,   comprensiva  della
presentazione  del  pubblico  ministero  o dell'ordinanza del giudice
monocratico   che,   convalidato   l'arresto,   da'  inizio  al  rito
direttissimo,  si  risolverebbe il problema del contenuto necessitato
della  pronuncia,  ma  non  quello  della compressione del diritto di
difesa:  in  tal  caso,  infatti, non si verificherebbe la condizione
temporale  che  costituisce presupposto necessario della pronuncia di
non  doversi procedere, ovvero l'esecuzione dell'ordine di espulsione
prima  del  provvedimento  che  dispone  il  giudizio,  dato  che  lo
straniero  verrebbe  espulso dopo l'inizio del giudizio direttissimo;
tuttavia,  se  solo  il giudizio direttissimo non si concludesse, per
qualsiasi  ragione,  in  una  sola udienza, l'imputato sarebbe subito
espulso e non avrebbe modo di difendersi. Sarebbe cioe' processato in
absentia   per   un   fatto   esterno,  l'esecuzione  dell'ordine  di
espulsione,  che  in  nessun  modo  puo' equipararsi alla contumacia,
situazione  che  deriva dalla volonta' dell'imputato. Anche in questo
caso,  dunque,  il diritto di difesa viene, piu' che compresso, quasi
impedito:   lo  straniero  potrebbe  tentare  di  dimostrare  la  sua
innocenza solo nel caso in cui il processo si concludesse in una sola
udienza, subito dopo la convalida; se invece, per sua richiesta o per
altra  ragione, il processo viene rinviato, egli viene espulso, sulla
base del provvedimento che gli viene contestato di aver violato.
    Ulteriore   violazione   costituzionale   ravvisabile  in  questa
disciplina attiene a quanto previsto dall'art. 13 della Costituzione.
Infatti  -  se  si da' dell'espressione «provvedimento che dispone il
giudizio»  quell'interpretazione  restrittiva  di cui s'e' detto, che
sola  appare  fondata  -  si  configura  un caso di restrizione della
liberta'  personale,  cioe' un arresto obbligatorio, che non trova il
suo   naturale   sbocco   nell'esercizio  dell'azione  penale  e  nel
conseguente vaglio giurisdizionale sul merito dell'accusa, vaglio cui
si  sostituisce  una  pronuncia  di non luogo a procedere conseguente
all'avvenuta  esecuzione  dell'espulsione  che  consegue al rilascio,
come  si  e' visto quasi sempre obbligatorio ed automatico, del nulla
osta  da  parte  dell'autorita' giudiziaria. Il giudice finisce cosi'
con l'essere espropriato dell'esercizio della giurisdizione e diviene
soggetto  non  alla legge, bensi' ad una decisione amministrativa del
questore,  dalla  quale  deriva  il  contenuto  necessitato della sua
pronuncia,  con  violazione anche dell'art. 101, secondo comma, della
Costituzione.
    Alla rilevanza di tutti questi dubbi in questo procedimento si e'
gia'  accennato,  ma e' bene ulteriormente sottolineare che l'arresto
di  cui  si  tratta dovrebbe essere convalidato in forza di una norma
che  si  ritiene  sospetta  di  incostituzionalita'  e  che,  dopo la
convalida,   si   dovrebbe  procedere  ad  un  giudizio  direttissimo
decisamente   anomalo,   che   presenta   gli  ulteriori  profili  di
incostituzionalita'   poco   sopra   argomentati.   Conseguentemente,
l'incidente  di costituzionalita' dev'essere sollevato gia' in questa
fase,  come  richiesto dal difensore, con la sospensione dello stesso
giudizio di convalida. Ne deriva che non puo' farsi luogo al giudizio
direttissimo,  la  cui  celebrazione  presuppone l'avvenuta convalida
dell'arresto,  che  in questo caso manca, in forza della sospensione.
Ulteriore   conseguenza,   ad   avviso   di  questo  giudice,  e'  la
restituzione  degli atti al pubblico ministero perche' proceda con il
rito  ordinario.  Non sembra infatti che si possa sospendere anche il
giudizio direttissimo, che non e' ancora instaurato.